Cenni storici di Vallerotonda e l’epoca del brigantaggio
Vallerotonda è una grossa terra posta in una profonda valle, a 55,5 km da Sora e 20 da S. Germano (Cassino), fu costruita nel basso medioevo, sul fianco del monte castello, nell’area meridionale delle Mainarde, dagli abitanti che cercavano luoghi difendibili dalle continue scorrerie delle onde longobarde.Il territorio si estende tra valli e monti. E’ fertile e viene specialmente coltivato a cereali, viti, olivi ed altri alberi da frutta, e non manca di pascoli, i quali permettono l’allevamento di una discreta quantità di bestiame.Una parte del territorio è coperta di boschi.
Rimane memoria del paese in un documento dell’anno 853, che lo mostra soggetto all’Abazia di Montecassino, subì nel secolo successivo l’assalto dei Saraceni, che lo diedero alle fiamme. Ricostruito intorno al 1100, venne munito di Castello; ebbe a sopportare le scorrerie dei Normanni, e nel 1349 i danni del terremoto. Nel 1460 venne occupato dalle truppe del Conte di Triverno che lo tenne per alcuni anni in nome degli Angioini, Nel 1487 Vallerotonda, comune del Napoletano, prov. di Terra di Lavoro, circond. di Sora, mandamento di Cervaro, venne amministrata dal funzionario regio, inviato dal re di Napoli Ferdinando I d’Aragona; venne occupata nel 1799 dalle truppe francesi, che all’atto di lasciare il paese, lo saccheggiarono. Nel 1815, dopo il congresso di Vienna, passò sotto il dominio dei Borbonici, fino al 1861, arrivo dei Savoia e dell’unità d’Italia.La sua popolazione di fatto, secondo il censimento del 1861, contava abitanti 3036 (maschi 1494, femmine 1542). La guardia nazionale consta di due compagnie con 297 militi attivi.Gli elettori amministrativi nel 1865 erano 79, e 24 i politici, iscritti nel collegio di Cassino. L’ufficio postale è a Cervaro. Quando a Vallerotonda si era già stabilita la Guardia nazionale accadde l’episodio del brigante “Centrillo”, il capo-reazionario di Castelnuovo a Volturno, Domenico Coja, che con una banda di 35 uomini penetrò nel paese e disarmò 150militari. Domenico Coia (alias Centrillo) secondo un documento conservato nell’archivio di Stato di Caserta nacque a “Castelnuovo sul Volturno “ nel 1828 e ivi morì, data non certa, nel 1903. Eradi aspetto piccolo e snello, svelto, con viso vivace, piacevole, brunetto. Probabilmente trascorse l’infanzia a Cardito, censito contadino, prima del servizio militare (ex soldato Borbonico), quindi dopo il congedo negoziante di vettovaglie. Centrillo faceva parte dei briganti politici, un reazionario, un uomo che lottava per un fine umanitario.
Domenico Coia Capo di una banda per incarico di Francesco Borbone adempì l’incarico ricevuto, vale a dire invadere i paesi occupati e restaurare il suo governo, combattendo i liberali, saccheggiando quanto più poteva astenendosi da assassini, amico e difensore della gente povera della sua terra, raggiunse la completa autorità di capobanda all’età di 33 anni. Capeggiando la guerriglia filoborbonica, alla testa di una piccola banda, che non superò mai il numero di 35 uomini, il 10 luglio 1861, precisamente di pomeriggio, penetrò in Cardito. Si fece consegnare una scorta di pane, formaggio e vino; sequestrò al cassiere comunale alcuni fucili e pochi denari, rilasciando una ricevuta firmata. Entrò poi nella sala consiliare e visto il ritratto di Vittorio Emanuele, si levò il cappello e gli fece un inchino, esclamando: “ Nù re è sempr’ nù re!”. In quel periodo il sindaco, che nulla poteva, non desiderava altro ch’essere destituito, se avessero fatto buona accoglienza ai pretesi borbonici: nella circostanza, poteva essere bruciato vivo o aver la casa incendiata e fra i due mali sceglieva il minore. Dopo il saccheggio, disse al capo della banda: “ ora bisogna che faccia il mio dovere di pubblico ufficiale, chiamerò i Piemontesi perché vi scaccino”. Il capo della banda rispose “fate pure”! . Mentre i piemontesi giungevano, i briganti erano già scomparsi. Il sindaco si vantava di averli posti in fuga. Durante l’amministrazione del 1861 era luogotenente Michele De Meo, alla testa di soli 17 briganti entrarono a tarda ora in Vallerotonda, paese natale del De Meo (o Di Meo), misero in fuga alcuni militi della Guardia nazionale e si impossessarono di 18 fucili conservati nel corpo di guardia. Al mattino sopraggiunse il capo con il grosso della banda e, non soddisfatto, fece chiamare il trombettiere, il tamburo e l’usciere comunale (servente Tomasso) ai quali ordinò di suonare l’adunata della Nazionale. I militi si presentarono subito e si lasciarono sottrarre, senza la minima resistenza altri fucili, e molte munizioni , di ottima qualità, tutti a percussione, quasi la metà di quelli assegnati dal governo alla Guardia Nazionale del comune ed alcuni vecchi e inservibili, per un totale di 57 fucili. Le migliori di quelle armi le distribuì ai briganti disarmati, altri li caricò sulle spalle di due giovani di Vallerotonda che andarono a nasconderli sulle Mainarde.
Centrillo requisì anche pane, formaggio e vino, oltre 50 ducati (moneta d’oro o d’argento un tempo coniata in tutte le zecche italiane), rilasciando la ricevuta. Il sindaco e il capitano della Guardia Nazionale di Vallerotonda non denunziarono il fatto e rimasero in silenzio, solo due giorni dopo il 13/14 luglio accorse la truppa e accompagnata, dopo l’arresto, da uno dei due giovani che avevano trasportato le armi in montagna riuscì a rinvenire a Collelungo parte dei fucili nascosti dentro i tronchi cavi d’alcuni alberi. La truppa era guidata dal cap. Minola ed era composta di due drappelli di guardie mobili, carabinieri reali ed alcuni soldati. La semplicità con cui fu compiuta l’operazione di disarmo fece nascere molti sospetti. Sicuro che la popolazione parteggiasse per i briganti e che la Guardia Nazionale locale era stata per lo meno vile: si affermò che il capitano della milizia e lo stesso sindaco fossero conniventi. Il primo era assente quella notte, si trovava a S. Germano (attuale Cassino), e confessò al maggiore del 43° reggimento fanteria, che lo interrogò, di essere andato per “schivare qualunque pericolo”. Il secondo non avvisò del fatto le forze dell’ordine. Entrambi furono arrestati, sebbene il capitano della Guardia Nazionale dipendeva a capo perduto dai cenni del Sindaco, per timore di male, ma poco dopo il tribunale ordinario li rimise in libertà.
La Guardia Nazionale di Vallerotonda fu sciolta. Il 17 agosto 1861 il capobanda sorano Gen. Chiavone ordinava al collega di trasferirsi sui monti di Sora e di sottoporgli la truppa, ma Centrillo rimase sui monti di Cardito. Il 28 agosto Domenico Coja fu costretto a difendersi da un duro attacco piemontese presso Cardito, ma la disfatta decisiva venne nel mese di settembre del1861; la banda fu frantumata, molti abbandonarono il capo, ridotto con pochi seguaci, a battere i boschi di Cardito. A quest’ultima battaglia partecipò attivamente il cap. Thomas G., poi nominato maggiore.
BIBLIOGRAFIA- Centro Studi Cominium “Il brigante Chiavone”
Marco Monnier-“ notizie storiche sul brigantaggio nelle provincie napoletane”
Atonia Izzi Rufo- “Castelnuovo e il brigante Centrillo”